BALLO LENTO di Giuseppe Serafini
Una mostra coinvolgente a più livelli e in tempi diversi. Da rivedere e poi rivedere e poi… La scultura Ballo Lento appare nella sezione degli Abbracci con la seguente didascalia “Due figure, trasportate dal ritmo di una danza, trovano posto l’una nell’altra, in un lento avvicinamento che si dà per gradi: il braccio cingente il volto, la mano appoggiata sul fianco, il seno raccolto nell’incavo del torso, la spalla su cui si adagia delicatamente il capo. I gesti appena suggeriti, così come il senso di intimo raccoglimento, determinano più direzioni di visione, per cui la figura appare animata da un impercettibile movimento, come se, nella danza, anche l’aria e la luce le si muovessero tutt’attorno.”
L’opera mi ha colpito lentamente, dopo qualche giorno, ripensandoci. “Tutto ciò che è squisito matura lentamente” è stata la mia prima considerazione, non così banale come sembra perché si rifà alla maturazione dei frutti, sia reali che figurati, di cui l’abbraccio è come una serra. Più avanti mi sono ricordato di quel legame “segreto” tra lentezza e memoria, tra velocità e oblio di cui parla Milan Kundera. Un legame che rimane recondito per riaffiorare un giorno all’improvviso, lasciandoti sospeso nella memoria di quel momento. Su questo argomento si potrebbero dire tante cose, ma credo che nessuna di queste potrebbe descrivere quel istante magico in cui, per strada o sul lavoro, ti blocchi incantato per rivivere la stessa emozione, con lo stesso calore, sentendo lo stesso profumo, e provando la stessa piacevole sensazione.
Un mio lontano maestro, parlando dell’esperienza e dell’esperimentare diceva che “una pietra che rotola non raccoglie muschio” a significare l’importanza del contatto prolungato. Oggi sembriamo tutti rolling stones, ci facciamo contaminare meno e siamo più veloci a liberarci di quelle poche e inevitabili tracce di muschio. Paradossalmente abbiamo meno rimpianti anche perchè ci viene in aiuto il fatto che siamo diventati meno capaci di trattenere la memoria. Io invece preferisco seguire l’appello di Duchamp, ossia Prière de toucher. Tocchiamoci e contaminiamoci !
Luigi S.