CHULA (Gelo) di Miguel Hugué
L’arte può suscitare emozioni momentanee più o meno fruttuose, o favorire sentimenti che hanno già un terreno predisposto a coglierli, o anche aprire finestre di interpretazione, per lo più arbitrarie ma sempre suggestive. Non so se intenzionalmente, ma di queste finestre il curatore della mostra ne ha aperte tante, tra cui quella del freddo, una metafora a cui bisognerebbe dare lo stesso peso di quella del calore.
La piccola scultura Chula (Gelo) inserita nella Sezione del Cammino, potrebbe avere un grande significato, maggiore di quello che sembrerebbe: notte dei sentimenti, indifferenza delle persone, chiusura in sè stessi, persino il ritorno al buio e al freddo quando ci viene a mancare la luce dell’amore e il calore della tenerezza.
Potrebbe essere il freddo nel mondo che ci circonda – come scrive Wystan Hugh Auden – «Bisognosi anzitutto / di silenzio e di calore, produciamo / freddo e chiasso brutali». Ma il Grande Freddo è quello dell’angoscia così intensamente emotiva di chi soffre, un gelo che si può sciogliere solo con l’ascolto, quello del silenzio. Di quel silenzio dell’angoscia, della sofferenza più interiore, dell’affanno di un cuore infreddolito che si riveste di ruvidi panni per non lasciare intravedere il suo dolore, come nei versi di Alfred Tennyson: “Mi sembra talvolta quasi peccato / esprimere in parole l’affanno ch’io sento; / perché le parole a metà solo rivelano l’anima profonda, / e a metà la nascondono; come fa la Natura. / […] M’avvolgerò in parole come in negre gramaglie, / come in ruvidi panni a difesa del freddo; / ma di quel gran dolore che questi avvolgono / solo i contorni appaiono e nulla più”.
Una poesia che sembrerebbe fatta a misura di questa piccola scultura. Chissà se gli abbracci potrebbero essere talmente caldi da porre fine al freddo di alcuni grandi inverni dentro? Se basterebbero a scaldarci come in una incubatrice o in una serra, e farci maturare, “sbocciare appieno” come nei versi di Blaga Dimitrova: “Hai freddo?” mi hai chiesto / e mi hai stretto in un abbraccio. / In te rannicchiata con fiducia, / sono sbocciata appieno. E quali / canti d’uccelli d’oltremare ho udito! / Venti del sud iniziavano a soffiare. / E come un’amarena, ancora intimidita, / ho dato via i miei colori”. Sebastiano P.
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