DER ABSCHIED (L’Addio) di Kathe Kollwitz
La donna (la stessa artista) abbraccia il marito che sta per morire, che se ne sta andando per sempre. E’ un’opera piccola ma so che l’artista vi ha messo quasi due anni per completarla, forse perchè è difficile rendere in maniera semplice un argomento così difficile. Penso vi sia comunque riuscita e, anche se non so fare un vero commento, recupero qualche mia riflessione.
Heinrich Heine sintetizza la morte in quella manciata di terra gettata sul viso nella cerimonia della sepoltura «che sembra spegnere per sempre le nostre domande», mentre Gesualdo Bufalino la descrive come una chiusura lampo che fulmineamente richiude lo squarcio di luce della vita. Espressioni che rifiutano il mistero, ma che comunque, per il fatto stesso di estremizzarlo, non lo negano. Mistero che i versi di Emily Dickinson descrivono in maniera egregia:
Questo mondo non è conclusione. / C’è un seguito al di là – / invisibile, come la musica – / ma forte, come il suono – / accenna, e quindi sfugge – / filosofia lo ignora – / è l’intuizione / che deve alfine penetrar l’enigma.
L’“intuizione per penetrare l’enigma” di cui parla la poetessa fa parte di quel senso del sacro e della trascendenza che vi è in ogni uomo e che è al di sopra del senso religioso. Scrive Margherita Guidacci: «Quanto di te sopravvive / è in un altro luogo, misterioso, / ed ormai reca un nome nuovo / che solo Dio conosce […]». Un nome che solo ci verrà svelato nell’estremo instante.
Dove andremo? Come dice Wisława Szymborska «chiedo scusa alle grandi domande per le piccole risposte». La mia piccola risposta a questa grande domanda è simile all’epigrafe posta sulla tomba del poeta mistico Rumi: «Non cercare la mia tomba sulla terra. La mia tomba è nel cuore di coloro che amano». Il calore dei cuori che abbiamo avvicinato con la sincerità del nostro amore è certamente più suggestivo della fredda prospettiva di un marmo. Ci piace così immaginare che la nostra bocca non verrà chiusa da una manciata di terra, ma ancora potrà recitare un ultimo verso. Potrebbe essere il verso finale della Divina Commedia di Dante Alighieri; oppure quello finale di un’opera di Thomas Stearns Eliot, che è stato anche il motto di Maria Stuarda, ossia In my end is my beginning; oppure quello che chiude una poesia di Dylan Thomas: «E rapito alla fine (cara fine) nelle sue braccia dalla luce, / io posso senza timore /reggere la prima visione che diede fuoco alle stelle». Alfonso P.
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