FIGLIOL PRODIGO di Arturo Martini
Vedendo il Figliol Prodigo di Arturo Martini, ho provato un’emozione struggente. Avrei tanto voluto essere quel figlio, che poteva riabbracciare suo padre, anche solo una volta.
Quella scultura, così “potente”, ho continuato a pensarla. La scultura non rappresenta l’incontro, ma il suo farsi: padre e figlio si stanno incontrando; tra loro c’è ancora una distanza, che presto colmeranno con i loro corpi. Quella distanza è il luogo metaforico del compimento.
I piedi di entrambi sono nudi; essi vestono l’essenziale. Tutto è ridotto, sottratto, intorno può esserci solo silenzio. È l’incontro che si fa addizione, e dunque ricongiunzione di chi ha fatto strada per arrivare all’altro, spogliandosi di chi era prima. I piedi sono la strada percorsa: il passato; la distanza, il terreno che ha preparato un nuovo modo di essere. In quella distanza, nella quale “accade” il presente, essi già non si guardano: non devono riconoscersi, possono già guardare al futuro l’uno nell’accoglienza dell’altro.
L’incontro è rivelazione della potenza della distanza, dell’attesa, del richiamo interiore. Forse non solo il figlio era stato “prodigo”. Forse anche il padre era stato “avaro”: di comprensione, di ascolto, di accoglienza, chissà. Entrambi hanno dovuto camminare l’uno verso l’altro, affrontare tortuosità interiori, paure, ripensamenti. E lo sforzo del padre deve essere stato immenso: lui doveva capire “prima” per poter accogliere il figlio e riconciliare in un unico abbraccio il Tempo, il passato il presente il futuro e superarlo nell’Amore. Beatrice Caterina S..
Lascia un Commento
Vuoi partecipare alla discussione?Sentitevi liberi di contribuire!