SULLA MOSTRA IN GENERALE
Mostra che, per la molteplicità dei registri, esige un’attenzione totale dello spettatore, costretto di volta in volta, a modificare codici di riferimento ed emotività. La sua ragion d’essere non la si trova nell’opera in sé, in nessuna delle opere esposte, che rappresentano citazioni le quali concorrono, a diverso titolo e grado, ad un lungo racconto privo di storia.
Ogni opera mette in atto un frammento “puntuale” colto in un continuum: ma è quel frammento di emotività su cui si è invitati a posare lo sguardo e ad interrogare noi stessi. Ci si trova così immersi in un invisibile rapporto di forze che scandiscono l’avvicinarsi, il distanziarsi, il considerare con circospezione, l’accogliere incondizionato, l’incondizionato respingere, ora in forma passiva, ora in forma attiva.
Perché non è solo l’incontro, non è solo l’abbraccio a essere agito; ma anche il suo contrario, attraverso tutte le gradazioni dell’ambivalenza. E non ci si accontenta di esporre opere che parlano o parole che spiegano: le didascalie si accompagnano alla chiave di lettura che si vuole suggerire.
Ogni opera diventa così una mostra nella mostra: in un importante unicum tra parola e immagine che qui si supportano a vicenda perché qui il rapporto parola-immagine viene agito senza mediazioni teoriche, nella consapevolezza che l’impatto visivo dell’opera veicoli sensazioni in parte diverse e prive delle aggiunte pleonastiche proprie della parola scritta.
Aleggiano poi, silenziose ma sensibili, altre “mostre nella mostra”: come il sottaciuto rimando di opere che ne evocano altre alle quali si rifanno, come il sapiente dosaggio dell’impatto emotivo che a volte si intensifica, a volte si allenta, variandone sempre la tensione. Su tutto, il “toccare a volte lieve, a volte intenso, a volte reale, a volte metaforico”. Eleonora R.
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