CON IL PATROCINIO DI
PARTNERSHIP
CON IL CONTRIBUTO DELLA
SPONSOR
Esposizione di 130 sculture, da Auguste Rodin (Le Bourgeois pleurant) a Igor Mitoraj (Il bacio dell’Angelo). Alcune note, come Alma del Quijote (Salvador Dalì), Prière de toucher (Marcel Duchamp), Visage aux deux mains (Fernand Lèger). O di artisti famosi come Helping Hand (Pablo Picasso), Two Figures (Henry Moore), Il Pensieroso (Ernesto Bazzaro), Il ratto della Sabina (Luciano Minguzzi). Molte originali, come Knotted Hand (Soler Etrog) e Riflessi (Novello Finotti), o rappresentative dei temi trattati: Il risveglio di Adamo (Francesco Messina), Tantalo (Jorge Borras Llop), Disperazione (Toni Boni). Infine, sculture note alla Storia dell’arte, ma difficilmente fruibili dal visitatore: Figliol Prodigo (Arturo Martini) e Abisso (Pietro Canonica). In aggiunta, non mancheranno di sorprendere le opere di alcuni espressionisti tedeschi: Der Abschied/Congedo (Käthe Kollwitz), Der Schreitende/Avanzare (Ernst Oldenburg), Gedankenkopf/Testa di Pensieri (Rainer Kriester) e Verwüstung/Desolazione (Hans Kastler).
Per l’americano Taft, “è solamente il pensiero ad essere eternamente presente così che tutti noi, scaraventati insieme nelle circostanze, per quanto strettamente vicini… rimaniamo sconosciuti l’un l’altro”. Anche in questa scultura, le tre figure sembrano avere vita a sé ed assumere ciascuna, rispetto al futuro, un atteggiamento differente: un ignoto da affrontare a viso aperto (mano che solleva il mento), o con dubbio (mano pensierosa), o con riluttanza (mano che sospinge la testa all’indietro). Nell’insieme, il movimento circolare delle teste controbilancia, nella parte superiore, la spiccata verticalità dell’opera.
L’artista recupera la memoria autobiografica della morte recente del padre e ci rende partecipi dell’emozione di quel tormentato contatto fisico finale dopo una sofferta reciproca mancanza dovuta alla sua esistenza nomade, divisa tra troppi luoghi e nostalgica di un ritorno forse impossibile. La forte stretta tra le braccia delle due figure di eguale grandezza e la monumentalità, la mano del padre che si posa sulla spalla del figlio, l’incrocio degli sguardi, rappresentano plasticamente un incontro che va oltre ogni comune sentimento.
Abbraccio immortale di due amanti, stretti quasi a volersi fondere, con i capelli di lei che si avvolgono sulle spalle di lui, quasi a trasmettere il senso di un’unione ancora fluida. L’artista rappresenta questo sentimento intenso e disperato con una posizione composta in ginocchio, in cui l’immobilità dell’abbraccio dei protagonisti interrompe ogni movimento e blocca la posa. L’immagine del vortice viene suggerita dalla circolarità che si ripete nell’intreccio delle braccia e nelle increspature dei panneggi, che formano una gabbia circolare, intorno cui preme la composizione. Una forza che la contiene e cristallizza, nonostante i busti siano spinti in avanti, come se si sporgessero, appunto, su un immaginario abisso.
Due figure, entrambe mutile, si avvicinano in un abbraccio silenzioso e malinconico. La figura maschile, semialata, porge alla donna un bacio di consolazione e la tiene a sé in un gesto di protezione. L’ala che la contraddistingue richiama allegoricamente un mondo ormai lontano, ma ancora capace di infondere significati e sentimento nella fragilità della condizione umana, qui evidenziata dai corpi ormai ridotti a frammenti.
La forza emotiva dell’incontro e dell’abbraccio che caratterizza questa scultura è accresciuta dal richiamo mitologico ai centauri, metafora del movimento continuo dei cavalli, ora spronati e ora trattenuti, i muscoli sempre rilevati al di sotto della rete delle vene che sembrano dar loro sangue e con esso il fuoco.
Al di là dei molteplici aspetti simbolici, sembra che davanti allo specchio non vi sia un uomo ma la scultura di uomo. La scultura allo specchio e la scultura della scultura rivelano la coscienza critica di fare scultura. Entrambe le figure, in tensione reciproca, sembrano interrogarsi sul senso di fare scultura, di cercare una aderenza alla vita, di avere una sopravvivenza in futuro.
Proveniente dall’atelier americano di Jacques Lipchitz (1891-1973) questa opera è attribuibile a uno dei suoi allievi. L’uomo e la donna sono seduti una accanto all’altro, apparentemente chiusi nei propri pensieri. La mano di lui sulla spalla della donna e il gomito di lei sulla gamba dell’uomo uniscono emotivamente i due personaggi, e la solitudine diventa incontro, sostegno reciproco.
Dalì mostra il cavaliere errante da solo, con i suoi sogni e le sue fantasie, mentre corre, tutto proiettato in avanti, su un plinto di mani intrecciate che implorano aiuto, conforto e sostegno nelle afflizioni e le miserie della vita. L’anima di Don Chisciotte è Don Chisciotte: casco e scudo sono il suo stesso corpo. La lancia che egli proietta è la sua anima, quella di un gigante triste, che usa solo il suo spirito per combattere i nani della terra.
Noto per le sue sculture in ferro battuto, l’artista si concentra su di un sentimento astratto, concedendo all’aspetto figurativo solo le sagome di due figure in armonica relazione più di intrecci, intersezioni e movimenti che di forme precise. Sarà il titolo Intimità inciso alla base a dare significato all’opera.
Moore titola con Due Figure quasi tutte le sue sculture semi-astratte con due personaggi, senza specificare se si tratti di madre e figlio, di due amanti o di incontri di altro tipo. Vi è forse quella differenza che tutti noi crediamo di vedere? Oppure la natura dell’incontro, quella che egli riporta alla più estrema essenzialità formale, è tale anche al di là dei dettagli e delle circostanze?
Il Vinto, accasciato su un masso solitario, grandeggia immobile: la forza, che fino a poco prima slanciava il suo corpo vigoroso, non lo percorre più. Il capo, chino tra le braccia abbandonate in avanti, la nudità fisica e il raccoglimento che nasconde il pianto rivelano plasticamente l’impotenza sconsolata della caduta, dell’umiliazione, del fallimento, della perdita.
Una figura femminile, completamente avvolta in un ampio mantello, compie un affascinante movimento in avanti, che suggerisce diversi significati e rievoca le famose donne mantellate High Wind (controvento) dello scultore inglese Lynn Chadwick. La posa assunta dalla donna reinterpreta un gesto naturale, nel quale essa si abbandona per poter abbracciare se stessa, o forse nascondere un mistero.
Nelle sue sculture Kriester sviluppa un suo originale linguaggio, cercando di plasmare la forma della materia al segreto della parola, soprattutto poetica. Un’operazione decisamente temeraria ma non infruttuosa. Come in questa scultura, in cui mani energiche si stringono coprendo gli occhi e la bocca a significare come una Testa di pensieri (come recita il titolo) impedisca il percepire e la possibilità di esprimersi.
L’angelo caduto è quello de-caduto dal suo stato di grazia e per questo divenuto simbolo della sofferenza e del rimorso per essersi allontanato dal cielo, condannandosi a soffrire le pene della terra. La sua condizione di impotenza è rimarcata dalle ali spezzate ma ancora aperte, al contrario delle ali degli angeli ribelli, che sono rappresentate allungate e chiuse.
Pajot fu allievo di Rodin e alcuni particolari lo fimostrano. Soprattutto il volto dell’anziano a destra richiama il Pensatore sulla Porta dell’Inferno o uno dei Borghesi di Calais. Per la presenza di più figure della stessa famiglia, l’esilio può essere inteso non solo in senso concreto ma anche come “famiglia in esilio da se stessa”, una prospettiva di lettura che la arricchisce di un significato ancora più attuale.
Massiccia scultura che utilizza il semicerchio di un tronco di rovere, nel quale sono incisi dodici diversi personaggi, dal più anziano che apre la carovana, al più piccolo che la chiude. Il lemma exodus si riferisce soprattutto al viaggio di Mosè e degli Ebrei nel deserto, ma l’etimo – da ex (fuori) e odòs (via, cammino) – indica numerose altre vie di uscita, tra cui quelle forzate, che implicano la mancanza di un punto di arrivo.
Per la fedele moglie di Ulisse, Bourdelle scolpisce una donna in atteggiamento riflessivo, una specie di controparte femminile del Pensatore di Rodin, di cui Bourdelle fu allievo. Una forma imponente, in cui tutto serve a creare un effetto di “massa vitale”: le pieghe della tunica, come scanalature di una colonna dorica, si adagiano sulle forme generose, mentre le braccia allacciate ispirano un senso di raccoglimento privato e ne fanno una figura di solitudine, una “anima che si erge senza cadere”.
Dafne era una ninfa molto bella che, inseguita da Apollo invaghitosi di lei, dovette scappare tra i boschi. Quando si accorse che la sua corsa era vana e stava per essere raggiunta, chiese alla madre Gea di mutare il suo aspetto fisico che tanto dolore e paura le stava procurando. La sua corsa venne allora rallentata e il suo corpo trasformato a poco a poco in un albero leggiadro e forte, la pianta dell’alloro divenuta così segno di gloria da porsi sul capo dei vincitori.
La scultura nasce come Jésus devant les docteurs, un’opera a figura intera, per evidenziare sia la posizione interlocutoria del soggetto, sia dello sguardo che delle mani. Questo mezzo busto, realizzato in una fase successiva, valorizza in modo particolare l’espressione di chi sta in ascolto, ma al tempo stesso elabora un pensiero, da cui il titolo. Di fatto, è questo il compito dei Maestri: insegnare ma anche ispirare quell’oltre, che sta al di là di qualunque insegnamento possibile.
Per l’artista, la bellezza nell’arte consiste nell’ascolto di “voci antiche” in dialogo con l’immaginazione: “il sangue che hai nelle vene nessuno te lo può cambiare, questa è la tradizione, ed è una tradizione -disgraziatamente o felicemente- di carattere romantico”. Anche questa è un’opera in dialogo con l’immaginazione, che ci traspone nel cuore di un incontro assoluto, in cui il mistico e l’umano dileguano in un silenzio sublime.
Sculture silenziose, quelle di Vancells Puig, che non gridano ma che parlano più delle parole. I gesti pacati e sommessi esprimono speranza e conforto, che valgono più di tante verità. La consolazione è qui raffigurata come esperienza fisica totale: gli sguardi nascosti esprimono il bisogno accorato che muove l’abbraccio; la sua saldezza, la forza profonda che da esso nasce.
Il titolo recita tutto ciò che vi è da dire sul significato di questa scultura. La posizione delle mani della madre, adagiate sulla schiena del figlio, richiama il dipinto de Il Figliol Prodigo di Rembrandt: mani delicate e composte per calmare, offrire protezione e consolazione.
Potersi aggrappare a qualcuno che aiuti a sollevarsi è un gesto non solamente di aiuto del corpo ma che, più o meno indirettamente, influisce sull’anima. Nel sollevare il corpo si solleva anche lo spirito e si realizza una promessa di senso, ovunque e comunque essa venga intravista, togliendo peso ai contrattempi di una esistenza troppo spesso segnata dal dubbio e dalla sofferenza.
Raffigurazione di una delle opere di misericordia dove l’accoglienza, e forse l’abbraccio, si compiono con un movimento di apertura. Chi accoglie pone il braccio sinistro sulla spalla dell’ospite, bardato di un ampio mantello e con la gamba protesa in avanti per proseguire il suo cammino, e distende l’altro braccio verso l’esterno, come per trattenerlo e offrirgli riparo.